La solitudine degli anziani è una questione dolente tutto l’anno, ma diventa un tema di punta estivo, tutt’altro che balneare, quando tutti vanno in vacanza. A questo proposito, fa riflettere uno studio statunitense pubblicato sugli Archives of Internal Medicine: avverte che quella desolante miscela di solitudine, isolamento e senso di abbandono che gli americani chiamano loneliness si riflette a lungo andare in una accelerata riduzione dell’autonomia e in una maggiore mortalità.
LO STUDIO - Un gruppo di ultra60enni partecipanti all’Health and Retirement Study, un’indagine su scala nazionale che fotografa la condizione degli anziani negli Stati Uniti, è stato sottoposto nel 2002 a un questionario sulla percezione della propria solitudine, come spiega Carla Perissinotto geriatra dell’Università di San Francisco: «Abbiamo assegnato un punteggio di loneliness basato sulla frequenza – “mai”, “talvolta” o “spesso” – con cui gli oltre 1.600 anziani intervistati, 6 su 10 donne e per i tre quarti coniugati, avvertivano un
senso di abbandono, di isolamento e di mancanza di compagnia. Il 43% di loro poteva essere definito una persona che si sentiva sola.» A distanza di 6 anni il vissuto individuale espresso dal punteggio è stato messo in relazione con la mortalità e con l’entità del declino funzionale legato all’età. «La possibilità di essere deceduto nel frattempo è risultata del 45% più alta in chi «soffriva di solitudine». Anche il livello di autonomia e di attività nella vita quotidiana, la mobilità e la capacità di trasferimento erano più probabilmente compromesse (dal 20% al 60%) in chi si sentiva solo, isolato o abbandonato.»
E’ DIVERSO ESSERE E SENTIRSI SOLI - Appare scontato il dato che alcune condizioni, come una compromissione della vista o dell’udito o una malattia di cuore, alimentassero il vissuto negativo, mentre può stupire il fatto che fossero più le donne a soffrire di solitudine. Ma l’esperta statunitense tiene a precisare alcuni aspetti: «Va tenuto presente che la nostra ricerca ha cercato di stabilire gli effetti sulla salute del soffrire di solitudine, non dell’essere effettivamente solo. Per esempio oltre il 60% delle persone che si sentivano sole vivevano con il coniuge o un compagno, mentre il 10% di quelle che tali non si sentivano, abitavano da sole.» Per essere più vicini alla vita di tutti i giorni, i ricercatori non hanno analizzato uno alla volta fenomeni come la depressione o l’isolamento sociale, ma si sono interessati a una questione complessa e con forte componenti di soggettività: «Da una parte abbiamo esplorato il vissuto di loneliness con 3 semplici domande, dall’altra parte ci siamo mantenuti ben attaccati alla realtà, valutandone le conseguenze sulla quotidianità, cioè su attività solo apparentemente banali come l’autonomia nel lavarsi, vestirsi da soli, riuscire a portare le braccia sopra il capo, sollevare pesi di qualche chilo, fare jogging o camminare per alcuni isolati, fare le scale.» Restano da spiegare, come sempre quando si affronta la relazione tra psiche e corpo, i meccanismi attraverso i quali una solitudine sofferta fa danni. La Perissinotto ammette che questo è un terreno inesplorato e cita alcune ipotesi suggerite da un autorevole lavoro pubblicato sugli Annals of the New York Academy of Science: alterazioni del controllo nervoso simpatico, delle difese immunitarie e disturbi del sonno.
Fonte: www.corriere.it